Genova - Due mesi di stop quasi completo, con le entrate praticamente azzerate e i costi elevati che vanno comunque sostenuti: dai marittimi a bordo, ai servizi minimi per mantenere le navi. Gli armatori italiani stanno lottando in alcuni casi persino per la sopravvivenza, ma l’ultima battaglia da combattere è politica
Genova - Due mesi di stop quasi completo, con le entrate praticamente azzerate e i costi elevati che vanno comunque sostenuti: dai marittimi a bordo, ai servizi minimi per mantenere le navi. Gli armatori italiani stanno lottando in alcuni casi persino per la sopravvivenza, ma l’ultima battaglia da combattere è politica. Il decreto Rilancio del governo «ci ha dimenticati, non c’è niente di quello che avevamo chiesto all’esecutivo» hanno tuonato per una volta all’unisono le due associazioni di categoria, Confitarma e Assarmatori. In ballo ci sono le migliaia di posti di lavoro generati dal settore (per l’Istat sono 38 mila i comunitari che lavorano su navi italiane), i lavoratori a terra e indirettamente anche i tanti operai che affollano i bacini dei cantieri navali. Il conto è salatissimo. Solo la merce ha potuto viaggiare per mare, i passeggeri sono invece rimasti a casa. La chiusura delle isole è stata decisa per creare una barriera naturale al virus. Navi ferme, ma equipaggi da pagare. E per le crociere è stato un disastro: Costa, la compagnia che fa parte del gruppo Carnival, è stata costretta a fare ricorso alla cassa integrazione. Ieri il boss americano Arnold Donald ha annunciato altri sacrifici «inevitabili, ma dolorosi» in attesa di poter ripartire. In fondo il colosso brucia ogni mese quasi un miliardo di dollari di cassa e per sopravvivere è costretto a tagliare. Per questo ieri il numero uno di Federlogistica Luigi Merlo ha tuonato: «Il governo ha ignorato il settore delle crociere e adesso a rischio ci sono 120 mila posti di lavoro». Nel conto finiscono anche i dipendenti dei cantieri navali: se le compagnie sono in crisi, non si costruiscono più navi e i bacini rischiano di rimanere vuoti. Il lockdown ha colpito e rischia di affondare molte compagnie.
Tirrenia riceverà una proroga per la convenzione da 72 milioni di euro in scadenza per la continuità territoriale, ma le acque per il gruppo Onorato che controlla anche l’ex flotta di Stato, sono agitate e nel pieno dell’emergenza pandemia, c’era stato anche il sequestro dei conti correnti per le rate non pagate alla bad company sopravvissuta alla gestione pubblica. E gli armatori su questa unica mossa del governo, hanno anche litigato: Confitarma non vede di buon occhio quella manovra e si è chiesta se i 72 milioni “prorogati” a Tirrenia (che fa parte dell’associazione concorrente) non avessero drenato risorse «destinate invece all’intero settore». Il governo nel decreto Rilancio ha previsto invece 26 milioni di euro per gli ormeggiatori, ma delle richieste delle associazioni degli armatori non c’è traccia. Il mancato incasso per lo stop imposto alle navi, era tra i primi punti della lista inoltrata da Assarmatori all’esecutivo: ci sono soldi per il trasporto aereo e per le ferrovie. Non ci sono per le navi.
Nell’elenco c’era anche la decontribuzione per i 3.000 marittimi delle compagnie che effettuano cabotaggio, come avviene per il Registro Internazionale e il sostegno al reddito per gli equipaggi rimasti a casa per colpa della crisi innescata dalla pandemia: serve una misure alternativa e a supporto del fondo Solimare, hanno scritto più volte gli armatori al governo che dovrebbe averli accontentati però sulle Zone economiche speciali e gli sgravi che garantiscono così da poter riprendere meglio e più velocemente gli scambi. La grande battaglia era stata invece combattuta sull’abolizione delle tasse di ancoraggio nei porti. Misura che avrebbe permesso agli armatori di risparmiare, per la quale il numero uno di Confitarma Mario Mattioli ma «la riduzione dei costi di approdo delle navi nei porti non è prevista, mentre diversi Stati membri dell’Ue, anticipando le indicazioni della Commissione europea, le hanno già introdotte». Sempre gli armatori chiedevano di poter effettuare crociere di cabotaggio, dirette cioè solo agli scali italiani, per far ripartire velocemente anche quel segmento. Ma nel decreto non c’è traccia nemmeno di questo provvedimento. E ora gli armatori sono sul piede di guerra.